LA MIA STORIA

    La mia famiglia di migranti proviene da Monsampolo del Tronto, un piccolo vecchio borgo sulle colline della provincia di Ascoli Piceno.
 Nel 1956, a soli 13 mesi venni con i miei genitori e mia sorella in quel di Faltona, in una piccola fattoria sotto la Sassa.
 Mio padre vi trovò lavoro come stalliere salariato in quella azienda agricola del sor Mario sul torrente Sterza, mentre mia madre trovò lavoro ad opera nei campi, con mia sorella che frequentava le elementari in una piccola scuola di campagna situata su una collinetta poco distante, in quel di Pian delle Rose, dove una sola maestra insegnava ai pochi scolari di cinque classi e, se pur distante solo un paio di km, mia sorella Pierina, per raggiungere la piccola scuola elementare di Pian delle Rose doveva attraversare i campi a piedi, perché a parte i buoi, non avevamo altro mezzo di locomozione, così che mio padre si trovava spesso ad andare in suo aiuto quando durante la brutta stagione restava bloccata in mezzo al fango ed alla pioggia. In Faltona la nostra vita era umile se pur dignitosa. In casa non avevamo né acqua e né luce e nonostante che il sor Mario ci volesse un gran bene, presto la nostalgia fece si che i miei genitori decidessero di far ritorno nei luoghi natii delle Marche dove trovarono lavoro come mezzadri al servizio di Don Pacì nel suo campicello di 25 tavole. Anche in questa casa di contadini mancava l’acqua e mia mamma la prendeva dal fiumiciattolo poco distante e la portava a casa con la conca di rame che teneva come una equilibrista su di un fazzoletto arrotolato sopra la testa.
Delle ottime capacità lavorative di mio padre ad accudire il bestiame si era sparsa la voce dalle Marche alla Toscana per tramite di veterinari e macellai e così dopo soli  due anni di mezzadria, fu chiamato ancora a tornare in Toscana nella fiorente fattoria di Casa Le Monache, tra Saline e Volterra. 150 ettari di colline proprio sotto lo storico panorama e lo straordinario spettacolo di luci che la cittadina etrusca emanava di notte. Stalle piene di mucche dove il latte si mungeva già con le prime mungitrici meccaniche, ma c’erano anche cavalli da trotto ed allevamenti di maiali neri, oltre a trattori di ogni tipo. Erano quelli gli anni del boom economico, quattro bellissimi anni della mia infanzia trascorsi tra il 1960 ed il 1964.

Mio padre, nel suo compito di stalliere accudiva il bestiame sette giorni su sette della settimana per 15.000 lire al mese e mia madre a falciare la sulla con la frollana a 90 lire l’ora ed alla fine della giornata ne doveva aver raccolta tanta abbastanza per riempire la motrice del camion che veniva a caricare a pomeriggio inoltrato.

Dapprima mio padre comprò una bicicletta Bianchi usata con i tipici freni a bacchetta e poi anche una vespa Piaggio 150 con la quale mi portava ogni mattina alla bella scuola elementare di Saline, da poco costruita e dove ancora scrivevamo con il pennino da tuffare nell'inchiostro dal calamaio. Quando tornavo da scuola solevo giocare “con i trattori che costruivamo con tavolette di legno” insieme con l’amichetto Daniele, l’unico bambino nella fattoria insieme al sottoscritto. Ero molto bravo a scuola e non passava giorno che non prendessi almeno un 10 nei compiti. All’asilo con il “panierino ed il grembiulino” non ci sono mai voluto andare se non il primo giorno, ma senza neppur metter piede all’interno. A me piaceva andare nei campi e tenere compagnia a mia mamma quando andava a frollanare, insieme al mio cane Lola, con la quale ci divertivamo a scovare i nidi dei topolini di campagna tra la sulla. A quei tempi ce n’erano tanti perchè non si usava dare veleni alle colture. I granai sotto le abitazioni erano pieni di raccolto e la notte topolini e topi la facevano da padroni su per le travi e sui mucchi di orzo e grano. Allora il fattore Giglioli mi promise 50 lire a cattura di topolino e 100 lire di topo più grande. La sera andavamo con mio babbo armati di  scope di saggina e con la mia segugina Lola, così che a fine settimana, al fattore ne facemmo trovare 53 capi tra piccoli e grandi. Al conteggio di quanto dovuto, venne fuori quasi un quarto di uno stipendio che prendeva mio padre in un mese e quella fu l'ultima e l'unica commessa pagata dal fattore, perchè visto il costo, fu anche l'unica e l'ultima ad essere commissionata !
A Casa Le Monache avevamo l’acqua corrente in casa, ma non la corrente elettrica e per illuminare le stanze usavamo le acetilene a carburo. Qualcuno saprà cosa sono, ma per dare una idea di cosa fossero le acetilene, che venivano usate sopratutto nelle miniere, posso semplicemente descriverle come caffettiere al contrario, dove sopra si metteva l’acqua e sotto il carburo, una sorta di sassi (ossido di calcio e carbone) che al contatto delle goccioline dell’acqua generava un gas che usciva da un beccuccio e la cui combustione faceva molta luce. Quando andavamo a dormire nella stagione fredda, mettevamo il “prete” sotto le coperte e le lenzuola, con lo scaldino che conteneva la brace attutita da uno strato di cenere. Quando lo toglievamo ed entravamo nel letto, quella sensazione di caldo naturale era unica fino a quando ci addormentavamo. Una sera, prima di andare a dormire, nell’aprire il contenitore del carburo con l’acetilene accesa, a mio padre scoppiò in faccia il gas che si era formato all’interno del recipiente e  trascorremmo giorni di ansia, per il timore che avesse perso la vista. La mobilità nel trovare lavoro era alta a quel tempo e le occasioni erano così tante che si andava spesso alla ricerca di migliori soluzioni lavorative e di vita. Ai primi del 1964 mio padre fu chiamato a lavorare sempre come stalliere nelle campagne di Bolgheri e così nel febbraio di quell’anno lasciammo Casa Le Monache per San Guido, non lontano dal viale dei mitici cipressi del Carducci, più precisamente  sulla strada delle Ferruggini, nei terreni dei conti e dei marchesi di Bolgheri dove nel primo dopo guerra e più precisamente a partire dal 1950, si erano stabilite due comunità di agricoltori marchigiani.

Quando arrivammo a San Guido, le comunità dei marchigiani abitavano quelle zone e coltivavano quei terreni fertili e pianeggianti a sud ed a nord del viale dei cipressi, già da più di 10 anni.

Nel dopoguerra tanti di loro si erano messi alla ricerca di terreni migliori di quelli che avevano nelle Marche. Vennero così a sapere che i conti ed i marchesi di Bolgheri erano propensi a vendere almeno 500 ettari di terreno pianeggiante per un certo timore di esproprio dettato dalle riforme agrarie di quel tempo.
Il marchese seppe del loro interesse e mandò il pievano, l’allora don Barsacchi a conoscere questa gente per capire se potessero essere o meno di suo gradimento  ed anche al fine di capire come la pensassero politicamente. Il pievano andò ad incontrarli nelle Marche e qui fu accolto con la massima ospitalità. Capì che era gente laboriosa ed onesta, ma si accorse anche che la pensavano come Peppone e non come don Camillo. Quando tornò al cospetto del marchese riferì che aveva conosciuto gente per bene , ospitale, laboriosa ed onesta, ma tacque sul secondo aspetto. I marchigiani mandarono due di loro a vedere la zona ed ad incontrare il marchese.
Comprarono i terreni, fecero pozzi e coltrarono in profondità, costruirono le loro case e ben presto ebbero grandi soddisfazioni dai raccolti. Misero in mostra tutte le loro capacità, di gente laboriosa, rispettosa e cordiale e quando il marchese si accorse del secondo aspetto, non potè fare altro che rimproverare il pievano, perchè oramai i giochi erano fatti ed i marchigiani furono ben voluti con grande stima ed affetto non solo dai conti e dai marchesi, ma da parte di tutti.

La marchesa Clarice Incisa della Gherardesca accolse noi bambini di famiglie migranti nella sua scuola a tempo pieno di San Guido, gestita sull’esempio dei college inglesi, con cinema, teatrino, ambulatorio, campo di calcio e con tutto l’affetto e l’ospitalità di una grande nobildonna benefattrice quale ella era.
Dopo pochi giorni dal mio arrivo, ebbi la sorpresa di ricevere a casa una cartolina con il saluto della signora marchesa “Benvenuto nella nostra scuola” firmato: Clarice incisa della Gherardesca e per la nostra umile famiglia fu un gesto straordinario. Al mattino due “corrierine” messe da lei stessa a nostra disposizione, una blù ed una bianca, facevano il giro delle campagne per portarci a scuola. Il mattino lo trascorrevamo a scuola, poi avevamo il pranzo nel refettorio sotto la scuola. Dopo pranzo la partitella a pallone nel piccolo campo sportivo davanti San Guido, fatto realizzare appositamente per noi bambini, poi due ore di doposcuola, la merenda e via di ritorno a casa con quella stessa “corrierina” del mattino. Quella blù faceva il giro delle Ferruggini e quella bianca faceva il giro delle Sondraie. Il tutto a spese della signora marchesa che non ci faceva mancare periodiche visite mediche ed odontotecniche e perfino i regali a Natale ed a Pasqua.
I nostri genitori potevano lavorare tranquilli e sereni tutto il giorno fino a pomeriggio inoltrato, quando tornavamo da scuola e via su per le scale quando alle 5 del pomeriggio iniziava la “TV dei ragazzi” con gli sceneggiati di Rintintin ed i cartoni animati di Bracco Baldo show, Bubu, Yoghi e degli Antenati.

Tutti noi ragazzi del posto ci sedevamo davanti ad un televisore per più famiglie perchè noi non l’avevamo il televisore. Ancora adesso tutti noi che siamo grandi ed in là con l’età, tutti noi e siamo tanti, bambini delle Ferruggini e delle Sondraie, di Bolgheri e di San Guido, che abbiamo avuto la fortuna di veder crescere serena la nostra adolescenza al cospetto di così tanta ospitalità che Clarice Incisa ebbe a riservarci per tanti anni ad almeno per due generazioni, non cesseremo mai di esserle riconoscenti, con il rammarico però di non averla mai ringraziata abbastanza.

Adesso vivo e lavoro a Cecina oramai da più di 40 anni nella compravendita immobiliare e dal 1986, mi occupo anche dei mercati finanziari, attraverso l'analisi tecnica di Borsa, lo studio dell'andamento grafico della serie storica dei dati di un determinato fenomeno rappresentato sugli assi cartesiani.
Nel 1994 ho sostenuto con profitto, 28/30, l'esame di Borsa e di analisi tecnica di Borsa alla facoltà di Economia e Commercio di Pisa.

John Kenneth Galbraith economista 1908 - 2006, il più autorevole consigliere della Casa Bianca per buona parte del XX secolo, sosteneva che la Borsa è lo strumento che separa gli stolti dai propri averi.
Attraverso l'analisi tecnica dobbiamo confutare questa tesi, se pur molto reale.

Pietro Campanelli